Post di Paolo Antoci - ST. JOSEPH
2024-03-29T06:41:55Z
Paolo Antoci
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LA SICILIA IN FESTA PER IL PATRIARCA SAN GIUSEPPE
tag:aeron.ning.com,2018-03-01:2240965:BlogPost:18047
2018-03-01T15:43:50.000Z
Paolo Antoci
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<p>Diceva bene lo studioso siciliano Giuseppe Pitrè (1841-1916) circa la devozione per san Giuseppe in Sicilia: “Si noti che se non si ha il patronato del Patriarca si ha dappertutto la devozione per esso”. Medico per professione, ma storico, filologo, letterato e antropologo per vocazione, Pitrè non ha esagerato con una tale osservazione/affermazione. Nel mese di Marzo, infatti, la Sicilia è in festa per onorare il santo Patriarca e in quasi tutti i 390 Comuni si celebra la Solennità del 18 e…</p>
<p>Diceva bene lo studioso siciliano Giuseppe Pitrè (1841-1916) circa la devozione per san Giuseppe in Sicilia: “Si noti che se non si ha il patronato del Patriarca si ha dappertutto la devozione per esso”. Medico per professione, ma storico, filologo, letterato e antropologo per vocazione, Pitrè non ha esagerato con una tale osservazione/affermazione. Nel mese di Marzo, infatti, la Sicilia è in festa per onorare il santo Patriarca e in quasi tutti i 390 Comuni si celebra la Solennità del 18 e 19 marzo con suggestivi riti religioso-folkloristici.<br> Famose sono le tradizionali Tavolate di san Giuseppe, chiamate anche Artara o Artari, Autari o Avutari, Cene o Mense, Tavulate o Tavulati. Gli altari domestici davanti ai quali la comunità familiare e del vicinato si riunisce per pregare insieme e per condividere gesti di carità fraterna. Le Tavolate sono singolari architetture sulle quali vengono deposte tante prelibatezze culinarie locali; presente una varietà e vastità di pane le cui forme richiamano la figura e la storia del Santo oppure i simboli religiosi della Quaresima e della Pasqua; non mancano frutta e ortaggi, dolci e biscotti. Un’immagine della Sacra Famiglia o di san Giuseppe troneggia sull’intera Tavolata, coperta con preziose tovaglie ricamate e addobbata con fiori e candele. <br> Famosi anche i Falò, i Fuochi, le Luminarie di san Giuseppe che si accendono la sera del 18 marzo, chiamati nelle diverse località col nome di Vampe o Vampanigghia, Pagghara o Paggharu, Luminaria o Luminaggi, Duminaria e Fucati. <br> In alcune località è in uso la Cavalcata di san Giuseppe per rievocare la Fuga in Egitto o semplicemente l’arrivo notturno a Betlemme della Sacra Famiglia in cerca di un alloggio.<br> La giornata del 19 marzo è l’apoteosi della sacralità e del folklore giuseppino. Innanzitutto nella mattinata, dopo le varie celebrazioni liturgiche e devozionali in chiesa, arriva il momento dei Santi, detti anche Virginieddi o Vicchiareddi, Vicineddi o Puvirieddi; i tre personaggi rappresentanti la Santa Famiglia che cercano “ospitalità” nelle case dove sono state allestite le Tavolate e lì, dopo esser stati accolti con un suggestivo e commovente rito, consumano i pasti che via via vengono loro offerti. L’altro momento importante della festa è la processione con il simulacro del santo Patriarca, evento solenne che conclude i festeggiamenti. Questi sono gli elementi comuni riscontrabili in più di 300 località siciliane (fra Comuni e le loro Frazioni) che caratterizzano la festa del Patriarca nel nostro territorio siciliano. <br> Altre particolarità sono: la benedizione e la distribuzione del pane votivo, in alcune parti si tratta di pane riccamente lavorato; la Straula – a Ribera-, un carro allegorico trainato da buoi che gira per il paese con appesi doni offerti al santo; il rito dei ‘mbraculi’ – i miracoli – a Valguarnera Caropepe, l’offerta di torce votive e di grano, portati sul dorso di cavalli bardati a festa, segno di gratitudine al Santo per i miracoli/grazie elargiti.<br> Per il 19 marzo è tradizione preparare anche la Minestra di san Giuseppe, detta anche Maccu, fatta di fave e legumi; le Sfingi di san Giuseppe nel palermitano, dolci ripieni di crema e ricotta, i Ucciddati – detti anche Bucciddati o Vucciddati -, ciambelle di pasta dal grande peso. Solo ad Acate si usano i Baddotti, polpette di riso in brodo; a Santa Croce Camerina si mangia la Principissedda col pomodoro, pasta tipica della festa giuseppina; a Valguarnera la Pagnuccata, dolce di pistacchio e altro; ad Alessandria della Rocca si prepara la pignolata - farina, uova e miele - e la pasta cu la milanisa, bucatino condito con sarde, salsa, finocchio e pangrattato; a Salemi, infine, si prepara la pasta ca muddica. E’ chiaro che questo elenco delle tradizioni culinarie è solo indicativo e non del tutto esaustivo.<br> Ad addobbare la Tavolata, o l’altare del Santo in chiesa, o il simulacro processionale sono i fiori e le piante tipicamente usati durante le festività di san Giuseppe: u Balicu, cioè il fiore primaverile della Violaciocca, usato soprattutto a Scicli, le fresie, il giglio, il narciso, l’iris, il mandorlo, l’alloro. <br> Impossibile qui descrivere in breve le modalità, i tempi e le rispettive tradizioni delle oltre 300 feste siciliane in onore di san Giuseppe. Le feste del Patriarca vanno conosciute e vissute di presenza. A Marzo la Sicilia, etichettata come terra mafiosa, in realtà è la terra che vive in abbondanza la sacralità, la convivialità, la solidarietà. E san Giuseppe fa la sua parte!</p>
<p>Paolo Antoci - Ragusa<a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402715862?profile=original" target="_self"><img src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402715862?profile=RESIZE_1024x1024" class="align-full" width="750"></a></p>
San Giuseppe, il giovane santo del discernimento. Prepararsi al Sinodo dei giovani guardando il santo carpentiere.
tag:aeron.ning.com,2018-03-01:2240965:BlogPost:17734
2018-03-01T15:28:34.000Z
Paolo Antoci
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<p>Nell’ottobre 2018 i nostri vescovi celebreranno il loro Sinodo sul tema ‘I giovani, la fede e il discernimento vocazionale’. Al centro della loro riflessione e attenzione ci saranno dunque i giovani; la Chiesa si interrogherà su come accompagnarli a riconoscere ed accogliere la loro chiamata all’amore e alla vita in pienezza. <br></br> Non manca certamente il riferimento a Maria santissima, accompagnatrice di questo percorso ecclesiale e modello per i giovani in discernimento. “Ciascun giovane…</p>
<p>Nell’ottobre 2018 i nostri vescovi celebreranno il loro Sinodo sul tema ‘I giovani, la fede e il discernimento vocazionale’. Al centro della loro riflessione e attenzione ci saranno dunque i giovani; la Chiesa si interrogherà su come accompagnarli a riconoscere ed accogliere la loro chiamata all’amore e alla vita in pienezza. <br> Non manca certamente il riferimento a Maria santissima, accompagnatrice di questo percorso ecclesiale e modello per i giovani in discernimento. “Ciascun giovane può scoprire nella vita di Maria lo stile dell’ascolto, il coraggio della fede, la profondità del discernimento e la dedizione al servizio (cfr. Lc 1,39-45). Nei suoi occhi ogni giovane può riscoprire la bellezza del discernimento, nel suo cuore può sperimentare la tenerezza dell’intimità e il coraggio della testimonianza e della missione”.</p>
<p>“Una vergine, - annota il Vangelo - promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe” (Lc 1,27). E di lui, di Giuseppe, non si tralascia il fatto che Maria è sua legittima sposa (cfr. Mt1,16.18-20.24; Lc 1,27; 2,5). Giovane la sposa e dunque giovane anche lo sposo. Sì, perché i Vangeli non parlano di una vecchiaia del santo carpentiere; anzi, le prime raffigurazioni cristiane ci avevano presentato un giovane imberbe, virile e vigoroso. Poi qualcosa lungo i secoli non andò nel verso giusto. Ma finalmente la giosefologia, ci sta riconsegnando un vero e attuale san Giuseppe, conforme a quello dei Vangeli rigettando così, seppur con qualche difficoltà, quel cliché dell’uomo anziano.</p>
<p>Fede, vocazione e discernimento sono i tre nuclei tematici su cui ruoteranno le riflessioni dei nostri giovani e dei nostri vescovi, e su cui si baserà anche la conseguente opera pastorale. Sono stati anche i tre stati esistenziali vissuti dal giovane Giuseppe: l’uomo giusto (Mt 1,19), il patriarca della fede, chiamato a essere sposo della Madre di Dio e padre del Figlio di Dio, il carpentiere e discendente davidico che più volte ha dovuto discernere eventi e situazioni, sogni e rivelazioni, profezie e realtà. Basta leggere i primi due capitoli dei vangeli secondo Matteo e Luca per rendersene conto.</p>
<p>Giuseppe è l’uomo della fede, la virtù che è fonte del discernimento vocazionale. Un dono della grazia che richiede di renderlo fecondo attraverso scelte di vita concrete e coerenti. E Giuseppe, in tal senso, accolse con disponibilità questo dono non tirandosi indietro ma prendendo con sé Maria sua sposa e il bambino; così prese con sé tutto il Mistero ‘in situazione’ e quanto esso comportava, facendo scelte concrete e coerenti che tutti noi apprendiamo dal sacro testo. “La fede – afferma il documento preparatorio al Sinodo - è insieme dono dall’alto e risposta al sentirsi scelti e amati”. Giuseppe, in quel sogno, in quei sogni, avrà sperimentato questa amorevole elezione del Padre, ma anche del Figlio, che non lo esonerò nel chiamarlo Abbà-papà. “Giuseppe, il quale sin dall'inizio accettò mediante «l'obbedienza della fede» la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all'uomo, certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità” (RC 21). E ancora. “La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità”. Il giovane sposo si consegnò totalmente all’amore sponsale e poi paterno, fu vocato all’Amore. “Se Elisabetta disse della Madre del Redentore: «Beata colei che ha creduto», si può in un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché rispose affermativamente alla Parola di Dio, quando gli fu trasmessa in quel momento decisivo. Ciò che egli fece è purissima «obbedienza della fede» (cfr. Rm 1,5; 16,26; 2Cor 10,5-6)” (RC 4). “Credere significa mettersi in ascolto dello Spirito e in dialogo con la Parola che è via, verità e vita (cfr. Gv 14,6) con tutta la propria intelligenza e affettività, imparare a darle fiducia ‘incarnandola’ nella concretezza del quotidiano. Non è quanto ha fatto il nostro santo?</p>
<p>Giuseppe è anche il giovane del discernimento, ce ne parla san Matteo nel suo Vangelo. Chi non conosce la sua misteriosa chiamata e la sua missione di giovane padre, per certi versi drammatica e incomprensibile? Rileggiamo in chiave giosefina i primi due capitoli matteani e non avremo difficoltà nel vedere questa singolare figura ricolma del dono del discernimento. “Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è l’ambito dell’esercizio del discernimento”. Nella storia di Giuseppe ogni giovane può scorgere la triplice sfaccettatura del discernimento – morale, spirituale, e quello dei segni dei tempi - e prenderne spunto e luce per il proprio. Il modello Giuseppe di Nazaret è davvero illuminante per tutti. “Lo Spirito parla e agisce attraverso gli avvenimenti della vita di ciascuno, ma gli eventi in se stessi sono muti o ambigui, in quanto se ne possono dare interpretazioni diverse. Illuminarne il significato in ordine a una decisione richiede un percorso di discernimento”. Giuseppe così ha saputo riconoscere, interpretare e scegliere il suo percorso di fede e di discernimento vocazionale. Il documento preparatorio al Sinodo sembra che parli proprio di lui, e nella lettura del testo tornano in mente i passi evangelici che ci descrivono l’esperienza del santo sposo di Maria racchiusa in quel sintetico versetto: “Mentre stava pensando a queste cose” (Mt 1,20). <br> Nella fase del riconoscere, “la Parola di Dio riveste una grande importanza: meditarla mette infatti in moto le passioni come tutte le esperienze di contatto con la propria interiorità, ma al tempo stesso offre una possibilità di farle emergere immedesimandosi nelle vicende che essa narra”. Non a caso certe opere artistiche ci raffigurano san Giuseppe con un libro in mano, che legge le Scritture, viene visto anche come un filosofo, proprio per quel suo voler riconoscere, credere e capire. “La fase del riconoscere mette al centro la capacità di ascolto e l’affettività della persona, senza sottrarsi per paura alla fatica del silenzio”. Anche qui - altra casualità? - san Giuseppe è il silente, colui che fa posto alla Parola non pronunciando parole, colui che ascolta e medita, è colui che discerne. <br> Il secondo verbo del percorso del discernimento è: interpretare. Occorre comprendere a che cosa lo Spirito ci sta chiamando. Ritorna ancora in mente quanto ci viene detto di Giuseppe: “Mentre stava pensando a queste cose” (Mt 1,20). “Questa fase di interpretazione è molto delicata; richiede pazienza, vigilanza e anche un certo apprendimento. Bisogna essere capaci di rendersi conto degli effetti dei condizionamenti sociali e psicologici. Richiede di mettere in campo anche le proprie facoltà intellettuali, senza tuttavia cadere nel rischio di costruire teorie astratte su ciò che sarebbe bene o bello fare: anche nel discernimento «la realtà è superiore all’idea». Nell’interpretare non si può neppure tralasciare di confrontarsi con la realtà e di prendere in considerazione le possibilità che realisticamente si hanno a disposizione. Per interpretare i desideri e i moti interiori è necessario confrontarsi onestamente, alla luce della Parola di Dio, anche con le esigenze morali della vita cristiana, sempre cercando di calarle nella situazione concreta che si sta vivendo. Questo sforzo spinge chi lo compie a non accontentarsi della logica legalistica del minimo indispensabile, per cercare invece il modo di valorizzare al meglio i propri doni e le proprie possibilità: per questo risulta una proposta attraente e stimolante per i giovani. Questo lavoro di interpretazione si svolge in un dialogo interiore con il Signore, con l’attivazione di tutte le capacità della persona; l’aiuto di una persona esperta nell’ascolto dello Spirito è pero un sostegno prezioso che la Chiesa offre e di cui è poco accorto non avvalersi”. Non sappiamo quanto durò questa fase per Giuseppe, non ci è dato sapere, ma da quanto apprendiamo dal documento preparatorio al Sinodo possiamo ben capire il lavorio interiore del nostro santo che ha valutato Legge e leggi, Persona e persone. “Mentre stava pensando a queste cose” (Mt 1,20)… pazientemente ha considerato i condizionamenti esterni, ha tirato fuori le sue facoltà intellettuali, si è confrontato con se stesso, con Maria, con la Torah, non accontentandosi della logica legalistica. E’ questa, in fin dei conti, la giustizia di Giuseppe accennata in Matteo, non solo quella legalistica, ma anche quella etica e morale, oltreché spirituale nel rispetto della Legge ebraica e dell’innocenza di Maria. “Giuseppe non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19). “Mentre stava pensando a queste cose” (Mt 1,20)… quanta interiorità e intimità in questa frase!<br> E infine, scegliere. “Decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19). “L’atto di decidere diventa esercizio di autentica libertà umana e di responsabilità personale. La scelta si sottrae alla forza cieca delle pulsioni. La decisione richiede di essere messa alla prova dei fatti in vista della sua conferma. La scelta è chiamata a tradursi in azione, a prendere carne, a dare inizio a un percorso, accettando il rischio di confrontarsi con quella realtà che aveva messo in moto desideri ed emozioni. Per questo è importante ‘uscire’, anche dalla paura di sbagliare…” “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore” (Mt 1,24). “In queste circostanze… Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla «mirabile» maternità di Maria. Certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da quella situazione per lui difficile… Il messaggero divino introduce Giuseppe nel mistero della maternità di Maria. Colei che secondo la legge è la sua «sposa», rimanendo vergine, è divenuta madre in virtù dello Spirito Santo…Il messaggero si rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà imporre tale nome al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazaret, a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria. «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). Egli la prese in tutto il mistero della sua maternità, la prese insieme col Figlio che sarebbe venuto al mondo per opera dello Spirito Santo: dimostrò in tal modo una disponibilità di volontà, simile a quella di Maria, in ordine a ciò che Dio gli chiedeva per mezzo del suo messaggero” (RC 3). Giuseppe dimostrò la sua virilità di giovane uomo, coraggio e responsabilità lo identificano come l’uomo forte e fermo, l’uomo della grande responsabilità come gli antichi patriarchi che non ebbe paura nell’essere Padre di Gesù e Custode dell’Incarnazione e della Redenzione.</p>
<p>Non è da sottovalutare infine che questo percorso di discernimento avvenga in un contesto di Silenzio, di contemplazione, di preghiera, per “coltivare la familiarità con il Signore e il dialogo con la sua Parola”. Proprio come il discernimento di san Giuseppe. “In una società sempre più rumorosa, che offre una sovrabbondanza di stimoli, un obiettivo fondamentale è offrire occasioni per assaporare il valore del silenzio e della contemplazione e formarsi alla rilettura delle proprie esperienze e all’ascolto della coscienza”. “Il silenzio del giovane Giuseppe – disse Benedetto XVI - è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all'unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza”. (2005).</p>
<p>Potremmo continuare con altre considerazioni e approfondimenti. Limiti editoriali mi impongono a fermarmi. Lascio al lettore nel proseguire. Ho voluto indicare ai nostri giovani il giovane Giuseppe, invogliarli a conoscere la sua fede, la sua vocazione e il suo discernimento. Di percorrere la via del santo di Nazaret. “Lungo questa via i Vangeli non annotano alcuna parola detta da lui. Ma il silenzio di Giuseppe ha una speciale eloquenza: grazie ad esso si può leggere pienamente la verità contenuta nel giudizio che di lui dà il Vangelo: il «giusto» (Mt 1,19). Bisogna saper leggere questa verità, perché vi è contenuta una delle più importanti testimonianze circa l'uomo e la sua vocazione. Nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre più attento e consapevole una tale testimonianza, quasi estraendo dal tesoro di questa insigne figura «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52)” (RC 17).</p>
<p>Cari giovani, ‘Ite ad Joseph’!</p>
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<p>Paolo Antoci<br> © - Ragusa 2017</p>
La devozione a san Giuseppe: l’apporto di santa Bernadette
tag:aeron.ning.com,2018-02-01:2240965:BlogPost:17716
2018-02-01T12:47:56.000Z
Paolo Antoci
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<p><a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402709740?profile=original" target="_self"><img class="align-full" src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402709740?profile=RESIZE_1024x1024" width="750"></img></a> Cosa c’entra san Giuseppe con Lourdes? In effetti ciò che maggiormente colpisce dei fatti della grotta di Massabielle circa le apparizioni dell’Immacolata a Bernadette Soubirous nel 1858 non è proprio san Giuseppe. Eppure anche lui, come è solito fare col suo stile discreto, opera insieme alla sua Sposa Maria e al suo Figlio Gesù per la salvezza universale. Lo ha fatto più di…</p>
<p><a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402709740?profile=original" target="_self"><img src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402709740?profile=RESIZE_1024x1024" width="750" class="align-full"></a>Cosa c’entra san Giuseppe con Lourdes? In effetti ciò che maggiormente colpisce dei fatti della grotta di Massabielle circa le apparizioni dell’Immacolata a Bernadette Soubirous nel 1858 non è proprio san Giuseppe. Eppure anche lui, come è solito fare col suo stile discreto, opera insieme alla sua Sposa Maria e al suo Figlio Gesù per la salvezza universale. Lo ha fatto più di duemila anni fa mettendosi a servizio dell’umanità del Verbo incarnato e continua a farlo tutt’oggi servendo il suo corpo sacramentale che è la Chiesa e di cui è Patrono. Nessuna stranezza nell’affermare che dove c’è Maria, c’è anche il suo Sposo Giuseppe, seppur in maniera “silenziosa” ma non per questo meno importante. A dimostrarcelo sono anche alcuni fatti storici: a Fatima, Itapiranga, Ghiaie di Bonate, Knock, per esempio, non è apparsa solo la Madonna ma vi era anche San Giuseppe. Ad eccezione di Itapiranga, in queste apparizioni il nostro Santo non ha proferito parole ma ha compiuto gesti carichi di religioso significato. Come un tempo a Nazaret nella sua casa, così anche nelle rivelazioni private “si stende lo stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla figura di Giuseppe. E' un silenzio, però che svela in modo speciale il profilo interiore di questa figura. I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»; tuttavia, consentono di scoprire nelle sue «azioni», avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione. Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero nascosto da secoli, che prese dimora sotto il tetto di casa sua” (RC 25).</p>
<p>Lasciata Lourdes, Bernadette si ritira nel convento delle suore di Nevers nel 1866 all’età di 20 anni. Lontana dal suo paese e dai suoi familiari si consacra a Dio in piena umiltà per nascondersi definitivamente, lì racconta una sola volta le vicende delle apparizioni per ricevere poi l’ordine di tacere. Nascondimento e silenzio sono proprio la missione e la caratteristica di san Giuseppe! L’invito della Madonna accolto dalla veggente – quello di pregare e fare penitenza - continuerà non più presso la grotta di Massabielle alla presenza della bella e misteriosa Signora, ma nel giardino del convento davanti alla statua del santo Patriarca dove trascorrerà intere ore nella cappella a lui consacrata. A san Giuseppe si rivolgerà costantemente facendo tridui e novene, consacrandogli i mercoledì e il mese di marzo e scegliendolo ufficialmente come suo Padre: “Non sapete dunque che, adesso, mio padre è san Giuseppe?”, così ella si rivolgeva alle sue consorelle. Un giorno una suora la sorprende a fare una novena alla Vergine Maria inginocchiata davanti alla statua di san Giuseppe: “in cielo non ci sono gelosie”, rispose Bernadette giustificandosi. Strabilianti parole che, nella loro semplicità, rivelano ciò che Dio ha unito e che noi spesso separiamo! Infine, Bernadette, come santa Teresa d’Avila e tanti altri santi, additò il Custode del Redentore come maestro di preghiera: “quando non si è capaci di pregare - dice – ci si rivolge a san Giuseppe”. Bernadette, Padre Pio, Giovanni Paolo II, Madre Teresa e molti altri, comunemente conosciuti per la loro devozione mariana, sono stati anche araldi della devozione giuseppina perché “Le anime più sensibili agli impulsi dell'amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore” (RC 27). Anche il luogo di sepoltura di Bernadette parla della presenza del Patrono della buona morte. La veggente che ha visto la Madonna fu inumata proprio nella cappella di san Giuseppe e lì il suo corpo incorrotto riposò per ben trent’anni, la durata della vita nascosta di Gesù all’ombra del santo Carpentiere.</p>
<p>Dunque nessuna ‘gelosia’ – volendo usare il ‘sensus fidelium’ della Soubirous – tra le famose apparizioni della Madonna a Lourdes e l’operato silenzioso del suo Sposo a Nevers. La Vergine ci invita a pregare e san Giuseppe ci aiuta a farlo, questo è il messaggio di santa Bernadette. La vera devozione a Maria dunque non può essere disgiunta da una sentita e profonda devozione a san Giuseppe; guardiamo a lui per imparare a essere dei veri devoti della Vergine. La nostra devozione mariana deve imitare quella di san Giuseppe, primo e vero devoto dell’Immacolata: venerarla e amarla con tutto noi stessi per avere da lei il suo dono più grande, Gesù. Chiediamo al santo Patriarca che ci faccia parte della sua conoscenza e del suo amore a Maria, Immacolata Concezione, apparsa a Lourdes.</p>
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<p>Paolo Antoci - Ragusa</p>
Entriamo nella bottega di San Giuseppe, artigiano di Dio.
tag:aeron.ning.com,2018-01-18:2240965:BlogPost:17806
2018-01-18T12:06:45.000Z
Paolo Antoci
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<p>Era il 1955, proprio sessant’anni fa, quando papa Pio XII istituì la festa di san Giuseppe Lavoratore. Questa ricorrenza liturgica, ci fa ricordare non solo la figura contemplativa e attiva di san Giuseppe, ma anche il suo modo di avvicinare il lavoro alla Redenzione, cioè alla nostra salvezza. <br></br> Sì perché “La crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc 2,52) avvenne nell'ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di «allevare», ossia di…</p>
<p>Era il 1955, proprio sessant’anni fa, quando papa Pio XII istituì la festa di san Giuseppe Lavoratore. Questa ricorrenza liturgica, ci fa ricordare non solo la figura contemplativa e attiva di san Giuseppe, ma anche il suo modo di avvicinare il lavoro alla Redenzione, cioè alla nostra salvezza. <br> Sì perché “La crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc 2,52) avvenne nell'ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di «allevare», ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre” (cf. RC 16). Gesù Cristo, accettando la condizione umana, accettò anche tutto ciò che ne consegue, quindi anche lo stato sociale e professionale tanto da presentarsi come il Carpentiere (Mc 6,3), figlio di Giuseppe di Nazaret (Gv 1,45), figlio del carpentiere (Mt 13,55).<br> Questa semplice parola – Carpentiere - copre l'intero arco della vita di Giuseppe. Per Gesù sono questi gli anni della vita nascosta, e la sua obbedienza nella casa di Nazaret viene intesa anche come partecipazione al lavoro di Giuseppe. “Se la Famiglia di Nazaret nell'ordine della salvezza e della santità è l'esempio e il modello per le famiglie umane, lo è analogamente anche il lavoro di Gesù a fianco di Giuseppe carpentiere. Il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento speciale. Insieme all'umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto nel mistero dell'Incarnazione, come anche è stato in particolare modo redento. Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della Redenzione” (cf. RC 22).<br> Ecco dunque che la festività del 1° Maggio ci porta a pensare al lavoro come strumento di santificazione e a luogo di vita cristiana. Afferma infatti la Redemptoris Custos: “Nella crescita umana di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» ebbe una parte notevole la virtù della laboriosità, essendo «il lavoro un bene dell'uomo» che «trasforma la natura» e rende l'uomo «in un certo senso più uomo». L'importanza del lavoro nella vita dell'uomo richiede che se ne conoscano ed assimilino i contenuti «per aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio, creatore e redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell'uomo e del mondo e per approfondire nella loro vita l'amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede viva una partecipazione alla sua triplice missione: di sacerdote, di profeta e di re». Si tratta, in definitiva, della santificazione della vita quotidiana, che ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa secondo un modello accessibile a tutti: «San Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; San Giuseppe è la prova che per essere buoni ed autentici seguaci di Cristo non occorrono "grandi cose", ma si richiedono solo virtù comuni, umane, semplici, ma vere ed autentiche»” (RC 23-24).<br> Giuseppe significa ‘Dio aggiunge’ o ‘accresca’; aggiungiamo dunque al culto cristiano e mariano anche la devozione a san Giuseppe, il Padre di Gesù. Accresciamola ogni giorno. Nella sua bottega Dio si fece artigiano per far si che anche noi, sull’esempio e con l’aiuto dello Sposo di Maria, possiamo essere in questo mondo artigiani per il Regno dei cieli, collaborando così all’opera creatrice di Dio e a quella redentrice di Cristo.</p>
<p></p>
<p>Paolo Antoci</p>
<p>Ragusa<a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402711163?profile=original" target="_self"><img src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402711163?profile=original" width="601" class="align-full"></a></p>
Non buttate fuori san Giuseppe: la presenza del santo nel presepe e nella famiglia.
tag:aeron.ning.com,2017-12-01:2240965:BlogPost:17183
2017-12-01T15:43:42.000Z
Paolo Antoci
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<p>Abbastanza bizzarri i Vangeli apocrifi e, nel corso dei secoli, la fantasia popolare nel presentarci un san Giuseppe indaffarato a preparare urgentemente una degna dimora per accogliere il Figlio della sua Sposa. E così, mentre la moglie, tra i travagli del parto, viene aiutata solo da una sconosciuta allevatrice, testimone oculare nel contempo della perpetua verginità della giovane donna, il povero uomo, quasi sempre ‘spaesato’ e distratto, è fuori da quella stalla – o quella grotta che sia…</p>
<p>Abbastanza bizzarri i Vangeli apocrifi e, nel corso dei secoli, la fantasia popolare nel presentarci un san Giuseppe indaffarato a preparare urgentemente una degna dimora per accogliere il Figlio della sua Sposa. E così, mentre la moglie, tra i travagli del parto, viene aiutata solo da una sconosciuta allevatrice, testimone oculare nel contempo della perpetua verginità della giovane donna, il povero uomo, quasi sempre ‘spaesato’ e distratto, è fuori da quella stalla – o quella grotta che sia – ad attendere impazientemente, o magari a raccogliere legna per accendere un fuoco o per costruire un’umile e precaria culla. Questo è quello che, tra romanzo e sentimento, per anni la tradizione ecclesiale, per mezzo del Apocrifi, ci ha trasmesso con ogni tipo di espressione artistica: letteraria, musicale, teatrale, figurativa.</p>
<p>Ma tutto ciò non è conforme a quanto apprendiamo dai Vangeli canonici. Un certo margine di fantasia o di sentimentale interpretazione è certamente tollerabile, ma a volte si sconfina di molto la stessa realtà e verità biblica a discapito della figura di san Giuseppe. Una scorrettezza nei suoi confronti che perdura ancora nel tempo; non si riesce a cancellare infatti quel <i>cliché</i> per certi versi distorto, quello stereotipo di un uomo anziano un po’ estraneo agli eventi dell’incarnazione, ingenuo e ignaro, silenzioso e taciturno, dormiente e, in certi casi, perfino estromesso dalla scena. In quante opere d’arte, infatti, san Giuseppe è raffigurato in ombra, distante oppure completamente assente?</p>
<p>Al di là poi delle moraleggianti interpretazioni teologiche che vengono date a questa ‘ombra silenziosa’ del padre putativo di Gesù, credo che oltre alla scorrettezza vi sia anche la non verità dei fatti. Eppure i Vangeli sono stati sempre chiari e precisi pur nella loro brevità narrativa: <i>“Anche Giuseppe… salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”</i> (Lc 2,4-7). La successione dell’entrata in scena è netta: Giuseppe, Maria, il Bambino; anche in Mt 1,16 e in Lc 1,27 Giuseppe viene citato per prima e non al contrario. In quella stalla, dunque, c’è solo una coppia di sposi; neanche il bue e l’asino - tanto cari alla pietà popolare – vengono menzionati ma, stranezza vuole, sono diventati così famosi tanto da essere, forse, più gettonati e più attenzionati rispetto allo stesso san Giuseppe!</p>
<p>Una moglie e un marito che diventano per volere di Dio madre e padre. La maternità di Maria, sappiamo bene, è divina e naturale; la paternità di Giuseppe, seppur non abbia contribuito alla generazione carnale di Gesù, è pur sempre autentica, reale, effettiva, non sostitutiva né adottiva. Il giovane Patriarca, in quel momento in cui <i>“il Verbo di fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”</i> (Gv 1,14), è stato presente e non assente, attivo e contemplativo, testimone oculare e custode privilegiato del Mistero, insieme alla sua legittima sposa. Credo allora che la riflessione di papa Francesco nell’esortazione apostolica <i>Amoris laetitia</i> si addice ai padri di ogni tempo e spazio, ma soprattutto si addice bene a san Giuseppe, papà di Gesù: <i>“Dio pone il padre nella famiglia perché, con le preziose caratteristiche della sua mascolinità, «sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E [perché] sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre. Dire presente non è lo stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori annullano i figli». Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è che «i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno». Non è bene che i bambini rimangano senza padri e così smettano di essere bambini prima del tempo”</i> (AL 177).</p>
<p>La scorretta dimenticanza di san Giuseppe dalla natività, seppur mi rammarica, non mi sorprende tanto; siamo ormai nell’epoca dove è in voga lo slogan culturale ‘Dio è morto’ o ‘non esiste’, figuriamoci quindi quale attenzione potrebbe avere san Giuseppe, ritenuto da molti perfino un ‘padre di serie B’! Tutto questo però desta una non poca preoccupazione: da più di 50 anni la figura paterna viene progressivamente estromessa dalla società, dalla famiglia, dalla vita concepita, dalla procreazione e infine – con l’incalzare dell’ideologia del gender – si tende a strappare questa paternità al corpo maschile; infatti si può essere padri senza essere uomo-maschi! Ecco quindi la tanto discussa profezia non solo della morte del padre, ma anche del maschio. “<i>Si dice che la nostra società è una “società senza padri”. Nella cultura occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, distorta, sbiadita. Persino la virilità sembrerebbe messa in discussione… ”</i> (AL 176). Ma la paternità non è semplice ruolo costruito o da rivestire, non è una figura da contorno, nessuno potrà/ dovrà giocare a fare il padre. Padre si è, punto e basta! E così è stato anche per san Giuseppe: egli non ha ricoperto un ruolo, ma è stato ed è padre.</p>
<p>Credo che non sia del tutto sbagliato pensare a una successione conseguenziale: la morte di Dio-Padre, la dimenticanza di san Giuseppe-padre, la lontananza/assenza della figura del padre. Karl Marx, nel marzo 1845, scrisse le <i>Tesi su Feuerbach</i> dove, nella quarta glossa, affermava: <i>“Dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica”.</i> Marx con un movimento ascendente vuole togliere il divino – la Sacra Famiglia - iniziando proprio a distruggere l’umano – le famiglie -, noi cristiani però rischiamo di fare lo stesso errore del filosofo materialista con una situazione quasi simile ma con un verso discendente, cioè la poca attenzione alla Sacra Famiglia potrebbe essere indice preoccupante per la salute/salvezza della famiglia terrena.</p>
<p>La morte del padre è <i>in itinere</i>; forse è meglio riprendere seriamente la figura Capo e Custode della Sacra Famiglia per evitare il peggio per le nostre famiglie e per la nostra società. Come? Non buttate fuori san Giuseppe! Neanche dal presepe.</p>
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<p><b>Paolo Antoci</b></p>
<p><b>Ragusa</b><a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402714650?profile=original" target="_self"><img src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402714650?profile=original" width="354" class="align-center"></a></p>
La porta della stalla aperta da san Giuseppe. Il santo carpentiere presente nel Natale seppur silenzioso.
tag:aeron.ning.com,2017-11-20:2240965:BlogPost:16445
2017-11-20T15:01:18.000Z
Paolo Antoci
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<p><a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402713840?profile=original" target="_self"><img src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/402713840?profile=original" width="470" class="align-center"></a>Vi invito a osservare attentamente la tela del pittore Federico Fiori, detto Barocci, <i>‘Presepe’</i> (1597), conservata al Museo del Prado di <a href="http://it.cathopedia.org/w/index.php?title=Madrid&action=edit&redlink=1" title="Madrid (la pagina non esiste)">Madrid</a> . La scena che ci viene presentata è quella della Natività di Gesù, molto reale, per niente statica o da belle statuine. La Vergine in ginocchio in primo piano adora il Cristo nella mangiatoia, mentre san Giuseppe apre la porta della stalla a due pastori.</p>
<p>Il riferimento biblico che abbia potuto ispirare Barocci, ma che comunque ispira la nostra riflessione e meditazione, è il capitolo 2 del vangelo secondo Luca: “<i>Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia” (Lc 2,16). </i></p>
<p>Un commento calzante e precipuo per collegare il passo lucano citato con la tela del Barocci è il testo giosefologico della <i>Redemptoris custos</i> di Giovanni Paolo II che afferma: <i>“Quale depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio», e che comincia a realizzarsi davanti ai suoi occhi «nella pienezza del tempo», Giuseppe è insieme con Maria, nella notte di Betlemme, testimone privilegiato della venuta del Figlio di Dio nel mondo… Giuseppe fu testimone oculare di questa nascita, avvenuta in condizioni umanamente umilianti, primo annuncio di quella «spoliazione» (cfr. Fil 2,5-8), a cui Cristo liberamente accondiscese per la remissione dei peccati. Nello stesso tempo egli fu testimone dell'adorazione dei pastori, giunti sul luogo della nascita di Gesù dopo che l'angelo aveva recato loro questa grande, lieta notizia (cfr. Lc 2,15-16); più tardi fu anche testimone dell'omaggio dei magi, venuti dall'Oriente (cfr. Mt 2,11)”.</i></p>
<p>Ecco, dunque, il Natale <i>‘di’</i> san Giuseppe e <i>‘con’</i> san Giuseppe! E’ Giuseppe, figlio davidico, ad aprire la porta ai pastori e ai magi.</p>
<p>Se Maria portò in grembo il Salvatore, è anche Giuseppe che ci fa conoscere il Mistero della salvezza, ci fa entrare nella stalla di Betlemme e nella casa di Nazaret dove dimorò il Salvatore. E’ lui che apre la porta!</p>
<p>Se Maria partorì il Salvatore, Giuseppe è stato testimone oculare, umile e discreto, silenzioso e operoso, vigile e responsabile del Mistero salvifico. Giuseppe era sempre là!</p>
<p>E’ Giuseppe, sposo e padre, a stare vicino alla madre e al figlio. E’ Giuseppe, custode e capo, a vigilare e difendere le sue due pupille. E’ Giuseppe, uomo giusto e lavoratore, a provvedere premurosamente ad entrambi. E’ Giuseppe a essere ‘ministro’ del Salvatore e della Salvezza come lo fu Maria. E’ lui che ha accolto e fatto accomodare i pastori e i magi perché adorassero il Figlio di Dio.</p>
<p>E’ questo il privilegio ma anche la missione di san Giuseppe. E’ stato questo il Natale di san Giuseppe: <i>“L’uomo al quale fu dato ciò che molti Re e Profeti cercarono di vedere e non lo videro, avrebbero voluto sentire e non lo sentirono; e a lui fu dato non solo di vederlo e sentirlo, ma di portarlo in braccio, allevarlo, stringerlo al seno, baciarlo, nutrirlo e vegliarlo”</i> (San Bernardo).</p>
<p>Che indicibile regalo ricevette il santo Patriarca, che bel Natale è questo!</p>
<p>Ma la storia della Salvezza non si è fermata in Palestina più di 2000 anni fa. Ancora oggi siamo invitati ad andare senza indugio a trovare Maria, Giuseppe e il bambino. E’ auspicabile infatti che i cristiani celebrino un Natale con san Giuseppe.</p>
<p>Non abbiamo quindi timore a bussare quella porta, la porta della fede e della devozione, le stesse che ha avuto il santo patriarca nell’accogliere il Figlio di Dio nella sua vita.</p>
<p>Entriamo in quella semplice stalla ma che in fondo era un Paradiso in terra. Sì, perché vi era il Dio fatto uomo, vi era Maria la madre del Salvatore, vi era san Giuseppe il padre e custode, vi erano gli angeli, vi erano i pastori; era la Chiesa, terrestre e celeste, che in quel tempo e in quello spazio vide gli inizi della salvezza; entriamo dunque nelle nostre chiese per essere Chiesa celebrante di Salvezza, per essere chiesa salvata e salvatrice per mezzo dei sacramenti.</p>
<p>Siamo anche noi pastori, riconosciamolo, e chiediamo a Giuseppe di farci entrare nella stalla, in questo Mistero di Salvezza, di farci contemplare questo Paradiso. Chiediamo a Giuseppe di accompagnarci fino alla mangiatoria, di instradarci a raggiungere il Bambino e la Madre. Chiediamo a Giuseppe di raccontarci le sue allegrezze e suoi dolori che provò nell’essere sposo di Maria e padre di Gesù e che ci spieghi la sua fede, speranza e carità per essere anche noi come lui ‘ministri di Cristo’. Chiediamo a Giuseppe come veramente dovremmo vivere il santo Natale.</p>
<p>E se a volte in qualche dipinto o in qualche presepe non vediamo san Giuseppe, non allarmiamoci… non è assente, ma è là, silenzioso ed attento, pronto ad aprire la porta a noi e a farci entrare nel mistero del presepe e del Natale.</p>
<p>La scena dipinta da Federico Fiori è quella di essere già dentro la stalla, ringraziamo allora il Custode della santa Famiglia se siamo entrati, è lui che ha aperto la porta; e gioiamo con Maria, Giuseppe e gli angeli se possiamo adorare, contemplare, lodare e proclamare che Gesù è il Cristo, il Salvatore, l’Emmanuele.</p>
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<p><b>Paolo Antoci</b></p>
<p><b>© 2017 – Ragusa</b></p>
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San Giuseppe padre, lavoratore e servo: la memoria del Primo Maggio nel mistero della Redenzione.
tag:aeron.ning.com,2017-11-08:2240965:BlogPost:16309
2017-11-08T13:32:20.000Z
Paolo Antoci
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<p>L’annuale memoria liturgica di <i>San Giuseppe Lavoratore</i> non può essere considerata come una semplice ricorrenza devozionale o una pietistica strategia cattolica per ‘cristianizzare’ la festa del lavoro e dei lavoratori. Niente di tutto questo!La memoria liturgica del <i>Primo Maggio</i> ci riporta innanzitutto al mistero dell’Incarnazione, fondamento della Redenzione; misteri, questi, di cui celebriamo i rispettivi memoriali il 25 marzo e nel Triduo pasquale.</p>
<p><i>“Con…</i></p>
<p>L’annuale memoria liturgica di <i>San Giuseppe Lavoratore</i> non può essere considerata come una semplice ricorrenza devozionale o una pietistica strategia cattolica per ‘cristianizzare’ la festa del lavoro e dei lavoratori. Niente di tutto questo!La memoria liturgica del <i>Primo Maggio</i> ci riporta innanzitutto al mistero dell’Incarnazione, fondamento della Redenzione; misteri, questi, di cui celebriamo i rispettivi memoriali il 25 marzo e nel Triduo pasquale.</p>
<p><i>“Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo”</i> (GS 22).Cristo, èstato uomo perché nato da donna (cf. Gal 4,4), ma anche perché figlio – non naturale né adottivo, si intende – di san Giuseppe (cf. Lc 4,22; Gv 6,42), lo Sposo di Maria dalla quale nacque Gesù (cf. Mt 1,16).<i>“Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente”</i> (Fil 2,5-8); un’obbedienza che ebbe il suo primo compimento a Nazareth (cf. Lc 2,51) nella casa-bottega del padre-artigiano (cf. Mt 13,55) fino al punto da presentarsi ai suoi concittadini con l’umile qualifica professionale di carpentiere (cf. Mc 6,3).</p>
<p>La salvezza passa attraverso l’umanità di Gesù, un’umanità che non si arrestò solo al concepimento nel seno verginale di Maria per opera dello Spirito Santo né alla sola nascita miracolosa nella stalla di Betlemme, ma ebbe la sua ordinata prosecuzione nella quotidianità della vita familiare e lavorativa a Nazaret<i>“sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di «allevare», ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre”</i> (RC 16). <i>“Tutta la vita cosiddetta «privata» o «nascosta» di Gesù è affidata alla sua custodia”</i> (RC 8).</p>
<p>La festadi <i>san Giuseppe Lavoratore</i>ci riporta, allora, anche alla redenzione del lavoro;quest’ultimo, infatti, è il luogo della realizzazione e della qualificazione dell’uomo. Gesù, il Figlio di Dio, per mezzo di san Giuseppe, nella logica dell’Incarnazione, pur essendo di natura divina,ribadì il suo <i>essere-realizzarsi-qualificarsi</i>come uomo facendosi lavoratore e non disdegnando la sua umile condizione di artigiano.In tal modo, il lavoro diventa luogo e strumento di santificazione in quanto santificato e redento daCristo che ha voluto assumere la natura umananella condizione sia di <i>servo</i>sia di<i>lavoratore</i>. Sì, perchèè bene ricordare che, proprio in Gen 2,5.15, il verbo che noi traduciamo con «lavorare» significa anche «servire».</p>
<p>L’umile lavoro del santo Patriarcaera per il sostentamento della Santa Famiglia, ma diventò un altrettantoservizio alla Redenzione: <i>“Il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento speciale. Insieme all'umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto nel mistero dell'Incarnazione, come anche è stato in particolare modo redento. Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della Redenzione”</i> (RC 22).Ecco, dunque, che la devozione a san Giuseppe è quanto mai necessaria e attuale non solo all’interno delle mura domestiche, ma anche in quelle delle nostre attività lavorative, qualunque esse siano.Bisognerebbe rivalutare adeguatamente la memoria liturgica del Primo Maggio – quasi sempre omessa o poco considerata –affinché <i>“</i><i>l'intero popolo cristiano non solo ricorrerà con maggior fervore a san Giuseppe e invocherà fiduciosamente il suo patrocinio, ma terrà sempre dinanzi agli occhi il suo umile, maturo modo di servire e di «partecipare» all'economia della salvezza”</i> (RC 1), anche con il lavoro e negli ambienti da lavoro.</p>
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<p><b>Paolo Antoci</b></p>
<p><b>© 2017 – Ragusa</b></p>
Leggendo l’Amoris laetitia come non pensare a San Giuseppe? Una lettura giosefologica dell’esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia
tag:aeron.ning.com,2017-11-08:2240965:BlogPost:16427
2017-11-08T13:29:52.000Z
Paolo Antoci
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<p><i>“San Giuseppe e la Santa Famiglia”</i> e/o <i>“san Giuseppe e le famiglie”</i> sono sempre stati i temi diretti e fondanti della figura e della missione del santo Artigiano nel mistero di Cristo e della Chiesa. Sono numerosi i testi magisteriali, teologici, liturgici e devozionali che legano lo Sposo di Maria e il Padre di Gesù alla famiglia. E’ logico e conseguenziale infatti che, trattando di san Giuseppe, si arrivi a parlare dell’istituto familiare, contemplare il suo insigne esempio e…</p>
<p><i>“San Giuseppe e la Santa Famiglia”</i> e/o <i>“san Giuseppe e le famiglie”</i> sono sempre stati i temi diretti e fondanti della figura e della missione del santo Artigiano nel mistero di Cristo e della Chiesa. Sono numerosi i testi magisteriali, teologici, liturgici e devozionali che legano lo Sposo di Maria e il Padre di Gesù alla famiglia. E’ logico e conseguenziale infatti che, trattando di san Giuseppe, si arrivi a parlare dell’istituto familiare, contemplare il suo insigne esempio e invocare la sua protezione su ogni focolare domestico. Poco frequente, invece, procedere al contrario: cioè partire dalle tematiche del matrimonio e della famiglia e risalire convenientemente fino alla presentazione di colui che la Chiesa invoca come <i>“Sostegno delle famiglie”</i>. Sembra a volte che ci sia una certa difficoltà, quasi una specie di imbarazzo, a dover inserire la figura e la missione del nostro santo negli argomenti che via via vengono trattati riguardo l’amore, il matrimonio e la famiglia. Come a dire che san Giuseppe non c’entra nulla, o non è necessario, oppure come se il tentativo di citarlo pregiudicherebbe l’importanza e la solennità del discorso riducendolo a una considerazione pietistica o a una pia devozione popolare anacronistica.</p>
<p> <i>Amoris laetitia</i>, resa pubblica l’8 aprile 2016, di fatto fu firmata dal santo Padre Francesco nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di san Giuseppe, il <i>“Capo della Santa Famiglia di Nazareth”</i> e il <i>“Protettore delle famiglie”</i> (19 marzo 2016). Ora, voler collegare il santo Patriarca all’Esortazione apostolica postsinodale per la sola coincidenza della data in cui fu firmata, sarebbe una considerazione pietistica, quasi banale. Il collegamento non riguarda neanche i soli riferimenti in cui il pontefice parla esplicitamente della Santa Famiglia e di san Giuseppe, sette paragrafi in tutto. L’<i>Amoris laetitia</i>, in realtà, ci “nasconde” un tesoro giosefologico, riguardante cioè la teologia di san Giuseppe, e giuseppino, cioè inerente alla spiritualità in onore al santo, utile per trarre diversi spunti teologico-pastorali sull’amore, il matrimonio e la famiglia.</p>
<p> Con la preghiera conclusiva, papa Francesco invoca, per tutte le famiglie,<i>“la bella comunità che è la Famiglia di Nazareth”</i> (AL 325) affinché ogni nucleo domestico possa contemplare lo splendore del vero amore, possa diventare luogo di comunione e cenacolo di preghiera, autentica scuola del Vangelo e piccola Chiesa domestica. Il Santo Padre, però, aveva già iniziato la sua riflessione proponendo subito l’esempio della Santa Famiglia (AL 30), invitandoci ad entrare nel Mistero di Nazaret, nel mistero dell’Incarnazione, perché da questo nucleo familiare potrà ripartire la volontà di conversione e di salvezza di ogni famiglia (AL 65-66), ricordandoci anche il fatto che Gesù stesso visse in una famiglia (AL 18,21,182).</p>
<p> Ma in quale altra parte dell’esortazione intravediamo la presenza umile, silenziosa e nascosta del santo Carpentiere?</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe, per esempio, quando papa Francesco afferma che <i>“nell’amore i silenzi sono spesso più eloquenti delle parole”</i> (AL 12) o quando parla del tirocinio o dell’ascesi del dialogo (AL 136-141); come non pensare allora all’<i>uomo silente</i> che in realtà fu l’<i>uomo della grande Parola</i>? <i>“I Vangeli non annotano alcuna parola detta da lui. Ma il silenzio di Giuseppe ha una speciale eloquenza: grazie ad esso si può leggere pienamente la verità contenuta nel giudizio che di lui dà il Vangelo: il «giusto»”</i>(RC 17).</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando il papa annota le bellissime riflessioni sull’amore nel matrimonio, fatto di pazienza, di benevolenza, di amabilità, fatto di atteggiamenti di totalità, di gioia e bellezza (AL 89-164); come non pensare quindi all’<i>uomo giusto</i> e obbediente, al <i>servo saggio e fedele</i>?<i>“L'uomo «giusto» di Nazaret possiede soprattutto le chiare caratteristiche dello sposo”</i> (RC 18) in possesso, così si evince dalle litanie in suo onore, di tutte le virtù al superlativo.</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando il papa si sofferma sull’importanza del padre nella famiglia (AL 175-177); come non pensare anche e soprattutto al <i>padre di Gesù</i>?<i>“La sua paternità si è espressa concretamente «nell'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa»”</i>(RC 8).</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando il papa parla della tenerezzacome virtù <i>“ignorata in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali”</i> (AL 28); come non pensare al <i>custode</i>di Gesù che di tenerezza ne ha da “vendere”?<i>“Poiché l'amore «paterno» di Giuseppe non poteva non influire sull'amore «filiale» di Gesù e, viceversa, l'amore «filiale» di Gesù non poteva non influire sull'amore «paterno» di Giuseppe, come inoltrarsi nelle profondità di questa singolarissima relazione? Le anime più sensibili agli impulsi dell'amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore”</i> (RC 27).</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando bisogna rafforzare l’educazione dei figli (AL 259-290); come non pensare dunque al <i>Capo della Santa Famiglia</i>?<i>“La crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc 2,52) avvenne nell'ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di «allevare», ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre. Da parte sua, Gesù «era loro sottomesso» (Lc 2,51), ricambiando col rispetto le attenzioni dei suoi «genitori». In tal modo volle santificare i doveri della famiglia e del lavoro, che prestava accanto a Giuseppe”</i> (RC 16).</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando papa Francesco presenta la verginità, un’altra forma d’amore in netta relazione col sacramento del matrimonio (AL 158-162); come non pensare quindi al <i>Casto Sposo di Maria</i>, <i>Custode dei vergini</i>? <i>“Nella liturgia Maria è celebrata come «unita a Giuseppe, uomo giusto, da un vincolo di amore sponsale e verginale». Si tratta, infatti, di due amori che rappresentano congiuntamente il mistero della Chiesa, vergine e sposa, la quale trova nel matrimonio di Maria e Giuseppe il suo simbolo. «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l'unico mistero dell'alleanza di Dio col suo popolo», che è comunione di amore tra Dio e gli uomini. Mediante il sacrificio totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole «dono sponsale di sé». Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sè e ne rispetta l'esclusiva appartenenza a Dio”</i> (RC 20).</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando “il benessere fisico e la serenità della famiglia” è garantito anche dal lavoro (AL 23); come non pensare al Santo <i>Carpentiere di Nazareth</i>?<i>“Il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento speciale. Insieme all'umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto nel mistero dell'Incarnazione, come anche è stato in particolare modo redento. Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della Redenzione”</i> (RC 22).</p>
<p>Pensiamo a san Giuseppe quando bisognerebbe annunciare oggi il “Vangelo della famiglia” (AL 200-201) e quando dovremmo rafforzare la spiritualità coniugale e familiare (AL 313-325); come non pensare a colui che la Chiesa invoca come <i>“Decoro della vita domestica”</i>?<i>“Oltre che nella sicura protezione, la Chiesa confida anche nell'insigne esempio di Giuseppe, un esempio che supera i singoli stati di vita e si propone all'intera comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele”</i>(RC 30).</p>
<p>Che dire, poi, del richiamo di papa Francesco al <i>compito artigianale</i> della famiglia (AL 16) e all’<i>amore artigianale</i> nel matrimonio (AL 221)? Come non andare a rileggere i diversi insegnamenti della spiritualità giuseppina che ci illustrano le virtù dell’insigne figura del santo Artigiano di Nazareth?</p>
<p> Tanti altri spunti possiamo trarre ancora dall’esortazione postsinodale<i>Amorislaetitia</i> che richiamano la figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa, e di ogni <i>chiesa domestica</i> che è appunto la famiglia. Il pontificato di papa Francesco, ormai noto a tutti, è stato scandito fino ad oggi dal consueto ricordo di san Giuseppe: il suo stemma episcopale porta il richiamo al santo, un mercoledì di marzo del 2013 fu eletto papa, il 19 di marzo inizia il suo ministero petrino, il 1 maggio stabilisce l’inserimento della menzione del nome del santo Patriarca nelle preghiere eucaristiche, il 5 luglio consacra il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano a san Giuseppe, ricorrenti le allocuzioni in cui il Santo Padre parla del Custode del Redentore, ha sempre esternato la sua devozione al <i>Santo “dormiente”.</i>Poteva, dunque, mancare questo richiamo giuseppino in occasione dei due Sinodi della Famiglia e per la stesura stessa dell’Esortazione post-sinodale?</p>
<p> In filigrana vediamo proprio il “modello Giuseppe”, quasi sempre messo in margine dalla teologia e dalla pastorale, ma non marginale nella Storia salvifica di ogni persona e di ogni famiglia.</p>
<p>Nella Famiglia di Nazareth <i>“per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l'esempio di tutte le famiglie cristiane”</i>(RC 7); in essa san Giuseppe ha avuto una missione fondamentale. <i>“Nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre più attento e consapevole una tale testimonianza, quasi estraendo dal tesoro di questa insigne figura «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52)”</i> (RC 17); che il ricordo della figura e della missione di san Giuseppe nella vita della Famiglia di Nazareth ci aiuti anche a riscoprire la vera gioia dell’amore coniugale e familiare delle nostre comunità domestiche.</p>
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<p><b>Paolo Antoci</b></p>
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