Non buttate fuori san Giuseppe: la presenza del santo nel presepe e nella famiglia.

Abbastanza bizzarri i Vangeli apocrifi e, nel corso dei secoli, la fantasia popolare nel presentarci un san Giuseppe indaffarato a preparare urgentemente una degna dimora per accogliere il Figlio della sua Sposa. E così, mentre la moglie, tra i travagli del parto, viene aiutata solo da una sconosciuta allevatrice, testimone oculare nel contempo della perpetua verginità della giovane donna, il povero uomo, quasi sempre ‘spaesato’ e distratto, è fuori da quella stalla – o quella grotta che sia – ad attendere impazientemente, o magari a raccogliere legna per accendere un fuoco o per costruire un’umile e precaria culla. Questo è quello che, tra romanzo e sentimento, per anni la tradizione ecclesiale, per mezzo del Apocrifi, ci ha trasmesso con ogni tipo di espressione artistica: letteraria, musicale, teatrale, figurativa.

Ma tutto ciò non è conforme a quanto apprendiamo dai Vangeli canonici. Un certo margine di fantasia o di sentimentale interpretazione è certamente tollerabile, ma a volte si sconfina di molto la stessa realtà e verità biblica a discapito della figura di san Giuseppe. Una scorrettezza nei suoi confronti che perdura ancora nel tempo; non si riesce a cancellare infatti quel cliché per certi versi distorto, quello stereotipo di un uomo anziano un po’ estraneo agli eventi dell’incarnazione, ingenuo e ignaro, silenzioso e taciturno, dormiente e, in certi casi, perfino estromesso dalla scena. In quante opere d’arte, infatti, san Giuseppe è  raffigurato in ombra, distante oppure completamente assente?

Al di là poi delle moraleggianti interpretazioni teologiche che vengono date a questa ‘ombra silenziosa’ del padre putativo di Gesù, credo che oltre alla scorrettezza vi sia anche la non verità dei fatti. Eppure i Vangeli sono stati sempre chiari e precisi pur nella loro brevità narrativa: “Anche Giuseppe… salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme,  per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo” (Lc 2,4-7). La successione dell’entrata in scena è netta: Giuseppe, Maria, il Bambino; anche in Mt 1,16 e in Lc 1,27 Giuseppe viene citato per prima e non al contrario. In quella stalla, dunque, c’è solo una coppia di sposi; neanche il bue e l’asino - tanto cari alla pietà popolare – vengono menzionati ma, stranezza vuole, sono diventati così famosi tanto da essere, forse, più gettonati e più attenzionati rispetto allo stesso san Giuseppe!

Una moglie e un marito che diventano per volere di Dio madre e padre. La maternità di Maria, sappiamo bene, è divina e naturale; la paternità di Giuseppe, seppur non abbia contribuito alla generazione carnale di Gesù, è pur sempre autentica, reale, effettiva, non sostitutiva né adottiva. Il giovane Patriarca, in quel momento in cui “il Verbo di fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14), è stato presente e non assente, attivo e contemplativo, testimone oculare e  custode privilegiato del Mistero, insieme alla sua legittima sposa. Credo allora che la riflessione di papa Francesco nell’esortazione apostolica Amoris laetitia si addice ai padri di ogni tempo e spazio, ma soprattutto si addice bene a san Giuseppe, papà di Gesù: “Dio pone il padre nella famiglia perché, con le preziose caratteristiche della sua mascolinità, «sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E [perché] sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre. Dire presente non è lo stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori annullano i figli». Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è che «i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno». Non è bene che i bambini rimangano senza padri e così smettano di essere bambini prima del tempo” (AL 177).

La scorretta dimenticanza di san Giuseppe dalla natività, seppur mi rammarica, non mi sorprende tanto; siamo  ormai nell’epoca dove è in voga lo slogan culturale ‘Dio è morto’ o ‘non esiste’, figuriamoci quindi quale attenzione potrebbe avere san Giuseppe, ritenuto da molti perfino un ‘padre di serie B’! Tutto questo però desta una non poca preoccupazione: da più di 50 anni la figura paterna viene progressivamente estromessa dalla società, dalla famiglia, dalla vita concepita, dalla procreazione e infine – con l’incalzare dell’ideologia del gender – si tende a strappare questa paternità al corpo maschile; infatti si può essere padri senza essere uomo-maschi! Ecco quindi la tanto discussa profezia non solo della morte del padre, ma anche del maschio. “Si dice che la nostra società è una “società senza padri”. Nella cultura occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, distorta, sbiadita. Persino la virilità sembrerebbe messa in discussione… ” (AL 176). Ma la paternità non è semplice ruolo costruito o da rivestire, non è una figura da contorno, nessuno potrà/ dovrà giocare a fare il padre. Padre si è, punto e basta! E così è stato anche per san Giuseppe: egli non ha ricoperto un ruolo, ma è stato ed è padre.

Credo che non sia del tutto sbagliato pensare a una successione conseguenziale: la morte di Dio-Padre, la dimenticanza di san Giuseppe-padre, la lontananza/assenza della figura del padre. Karl Marx, nel marzo 1845, scrisse le Tesi su Feuerbach dove, nella quarta glossa, affermava: “Dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica”. Marx con un movimento ascendente vuole togliere il divino – la Sacra Famiglia - iniziando proprio a distruggere l’umano – le famiglie -, noi cristiani però rischiamo di fare lo stesso errore del filosofo materialista con una situazione quasi simile ma con un verso discendente, cioè la poca attenzione alla Sacra Famiglia potrebbe essere indice preoccupante per la salute/salvezza della famiglia terrena.

La morte del padre è in itinere; forse è meglio riprendere seriamente la figura Capo e Custode della Sacra Famiglia per evitare il peggio per le nostre famiglie e per la nostra società. Come? Non buttate fuori san Giuseppe! Neanche dal presepe.

 

 

 

Paolo Antoci

Ragusa

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